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Ci sono fotografie che acquistano una vita propria sulle pagine di una rivista o magari incorniciate e sistemate su una parete bianca, magari ancora a disposizione via internet. Posseggono una vita autonoma e nel loro tragitto trasportano le intenzioni, il carico iniziale di domande che ha indotto a realizzarle. Sono frammenti di una conversazione, dotati di una voce e una carica attiva che non si esaurisce nel momento in cui è pronunciata, ma si rafforza e si definisce meglio, insieme magari ad altre voci, nel corso della conversazione con chi osserva. È come piantare un seme che poi cresce e che lo spettatore completa. Nel mio lavoro penso di fornire domande e dubbi. Questa è la forma attiva e dinamica della fotografia che si trasforma e muta in chi la guarda. La possibilità di mettere in circolo un sistema di impulsi, di anticorpi, senza pretesa di migliorare il mondo, ma semmai di aprire una conversazione con il mondo.